Abbiamo allestito due presepi. Nel primo manca Gesù, perché non può nascere in un mondo che non accoglie. Nel secondo ci sono prostitute e barboni che, come Giuseppe e Maria, cercano un angolo di mondo dove sopravvivere».
Don Zappolini, parroco di Lari (Pisa), Ansa 23 dicembre

mercoledì 23 luglio 2008

Inno all'Unità, malafede su Mameli

La lettera di Andrea Marcucci pubblicata il 23 luglio sul quotidiano Il Tirreno nella pagina delle opinioni.

La polemica sull'Inno di Mameli è già di per sé spiacevole, ma assume connotati tra il grottesco e l'odioso quando è accompagnata da volgarità e disprezzo della storia. Il gesto di Bossi non merita alcun commento, mentre, a mio avviso, è opportuno spendere qualche parola in più per ricordare, soprattutto ai più giovani, quanto sia evocativa la figura di Goffredo Mameli e come il suo inno possa davvero assurgere a simbolo del Risorgimento, cioè dell'anelito all'unità e alla libertà della Patria.Sarebbe un errore molto grave limitarsi ad una difesa istituzionale dell'inno, peraltro spesso criticato anche in passato perché ritenuto non sufficientemente solenne e troppo bandistico: l'attenzione va spostata dalla musica di Novaro ai versi di Mameli. Nelle parole che cominciano con "Fratelli d'Italia" c'è tutta l'anima poetica di un ventenne che generosamente raggiunge Roma per battersi per un'Italia libera e repubblicana con Roma capitale, che è a fianco di Mazzini nel pensiero e di Garibaldi nell'azione fino all'estremo sacrificio. Sarà senz'altro appesantito dalla retorica guerriera dell'epoca, ma il "dov'è la vittoria le porga la chioma che schiava di Roma Iddio la creò" emoziona ancora oggi: e solo un travisamento troppo grossolano per non essere frutto della malafede può indurre a pensare che la schiava sia l'Italia anziché la vittoria.

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